martedì 8 giugno 2010

In quieto

Non riesco a stare fermo. Cioè non mi va di stare fermo. Ma non sempre. Solo quando mi impongono di stare fermo. Se decido io di stare fermo, cioè quando decido di dormire, sedermi, sostare, fumare allora va bene. Posso stare ore fermo, tranquillamente, senza lamentarmi. Ma se la staticità mi è imposta, allora impazzisco. Stare fermo per motivi non miei mi infastidisce, non mi fa ragionare, mi fa incazzare. Di solito l'incazzatura è maggiore quanto più è stupido il motivo che causa l'attesa. Un semaforo rosso? Bestemmia leggera. Aspettare due secondi l'ascensore? Bestemmia da scomunica. Aspettare che il caffè salga? Posso spaccare sedie. Non mi piace aspettare e odio chi mi fa aspettare e odio far aspettare. Così sono sempre in anticipo, e mi tocca aspettare. Appena c'è da attendere divento irrequieto, nervoso e non posso fare altro che correre da un capo all'altro, da un'attesa all'altra senza alcuna speranza, senza alcun obiettivo. Il mio inferno è una fermata dell'autobus con questo che non arriva mai e il tabellone che segna 5 min, poi sale a 10, poi scende a 3, poi sale a 7, poi segna 5 e così via. Il mio inferno è l'attesa. Perché nell'attesa si sta da soli.
Come disse il poeta :"Le attese sono un inferno di solitudini immeritate".

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